Sin dal 1961, all’arrivo di Paolo Scheggi a Milano, Germana Marucelli lo coinvolge direttamente nell’attività del suo atelier inaugurando così un sodalizio «fruttifero»: nel 1961 e nel 1962 Scheggi disegna motivi per i suoi capi; nel 1962, nel 1963 e nel 1966 crea accessori da abbinare ai suoi modelli e, soprattutto, nel 1964 progetta la nuova sartoria. L’abito, in quegli anni, inizia a diventare un simulacro vacuo in cui iscrivere nuovi significati e Germana Marucelli ammette di aver trovato nell’arte contemporanea un ottimo alleato e una fonte d’ispirazione. La sua ricerca si concentra nella realizzazione di capi «che mutino in continuazione sotto gli occhi di chi li osserva» e che possano interpretare appieno le esigenze della donna del tempo, in «costante e continuo cambiamento». Non capsule cristallizzate in cui racchiudere l’essere umano, ma indumenti che permettano di espandersi.
Contemporaneamente Paolo Scheggi inizia a sperimentare e a rincorrere una nuova espressività artistica, un nuovo spazio possibile in cui «l’opera diventa aperta, in costante confronto con l’occhio del lettore e con lo spazio retrostante, o circostante, o interno, creando variazioni e accrescimenti che sono scientificamente misurati e dedotti e non arbitrari».
Marucelli e Scheggi si incontrano, dunque, nella propria e personale ricerca legata alla «dinamica del tempo».